giovedì 20 marzo 2014

OSSERVAZIONI PIANO REGIONALE RIFIUTI E BONIFICHE 2013




                                                                     Associazione
                                                                Comitati  Spezzini  
 
         Osservazioni al Piano di Gestione dei Rifiuti e delle Bonifiche della Regione Liguria                       adottato con delibera di Giunta regionale n.1801 del 27 dicembre 2013
 

 Premessa
 
La nostra Associazione di rango provinciale costituitasi nel 1998, da diverso tempo si occupa della gestione del ciclo dei rifiuti nella provincia di La Spezia.  Il territorio in questione ha vissuto numerose emergenze a causa della totale incapacità delle amministrazioni locali e dello stesso Gestore dei Servizi ( Acam azienda speciale 100%  pubblica), di governare ed organizzare un sistema di raccolta e trattamento che scongiurasse ricadute negative sia sul piano ambientale che economico.
 
A conferma di ciò le tante discariche aperte ed ampliate più volte e mai bonificate, i siti di stoccaggio  “provvisorio prolungato”, il costoso ed energivoro impianto di trattamento dell’ indifferenziato che costringe ancora e sempre ad un oneroso smaltimento fuori ambito anziché al redditizio recupero di materia voluto dalle norme europee.
 
Abbiamo dovuto fare i conti anche con inceneritori per rifiuti speciali e per RSU che dopo anni di diffuso inquinamento,  sono stati chiusi dalla Magistratura. Non entriamo qui nel dettaglio, ripercorrere avvenimenti che hanno coperto un arco temporale di due o tre decenni richiederebbe un impegno ed un’afflizione che non intendiamo profondere e rivivere.  Ci limitiamo a dei meri riferimenti che comunque costituiscono un giudizio negativo senza appello, sull' operato di tutti i soggetti che a più riprese hanno avuto ed hanno competenza in materia, ivi compresi quelli di livello regionale.
 

 
                           Il fallimento attraverso i principali passaggi legislativi
 

Dal 1997 anno in cui venne approvato l’ inadeguato D.lgs 22/97 la vergognosa ( non vi sono altri aggettivi) gestione dei rifiuti che si era avuta nel passato si è fatta meno distruttiva ma basandosi  sul Ciclo Integrato ha indotto scelte impiantistiche sbagliate che alla Spezia stiamo pagando acerbamente. Peraltro ci teniamo a sottolineare che la Regione Liguria  e molto probabilmente la Provincia della Spezia, con i loro rispettivi tassi di differenziata del 32% e del  37,29 al 2012,  non hanno rispettato i limiti che il già detto Decreto (Ronchi)  imponeva: il 35% al 2003 ! Per quanto riguarda La Spezia infatti, è da verificare l’effettivo riciclo dell’ umido raccolto.  

 

L’ avvento del T.U.A. che all’ art. 205 alzava la quota della differenziata al 65% da raggiungersi entro il 31.12.2012  sanciva l’ inutilità degli impianti per il trattamento meccanico biologico dei rifiuti in favore degli impianti di compostaggio e delle filiere di recupero dei vari consorzi.  Molti Comuni italiani hanno persino superato questa quota ma nessuno di questi si trova in Liguria. Vogliamo citarne alcuni: Novara, Padova, Salerno, Ponte nelle Alpi, Montelupo Fiorentino , Montespertoli, Empoli e molti altri, insieme stanno lì a ricordarci che la via del Riciclo Totale e dello Stop alle Nocività è la scelta vincente anche sotto l’ aspetto economico.

 

La regione Liguria in nessuna delle sue province è stata ed è in grado di reggere il confronto con le realtà più virtuose del territorio nazionale, la Corte dei Conti con sentenza n° 83/2013    è persino intervenuta (anche a scopo dimostrativo), per punire un comune del genovese non in linea con la normativa nazionale in tema di riciclaggio dei rifiuti.
 

Il monito della Magistratura tributaria non è stato neppure preso in considerazione, certi che la politica nazionale avrebbe garantito la solita sanatoria.   Il Consiglio dei Ministri della passata Legislatura non ha deluso le aspettative  ed ora una sanatoria (contenuta nell’ art.18 del Collegato   ambientale alla Legge di Stabilità -Governo Letta ) dovrebbe per l’appunto essere discussa in Parlamento.  

 

Chi sono i mandanti? Il provvedimento è stato partorito in Liguria. Il governo della nostra regione nell’  aprile scorso aveva chiesto al presidente della Conferenza Stato-Regioni l’attivazione di una procedura che consentisse “tramite la definizione di un Accordo di programma tra Ministero dell’Ambiente, Regione ed enti locali interessati, di ottenere una deroga rispetto agli obiettivi fissati dalla normativa nazionale”.
 

 

I criteri di gestione e le previsioni del nuovo Piano dei Rifiuti sono totalmente da rivedere

                                                                                                                 

La sanatoria in questione non è ancora stata approvata in via definitiva e già la nostra Regione,  con il Piano dei Rifiuti recentemente adottato, l’ ha già recepita  spostando addirittura al 2020 il limite del 65% di differenziata a cui si doveva giungere nel 2012. 
 

Su tali ampie proroghe è costruito un piano di gestione che testimonia l’ intento di non voler affatto uniformarsi alle disposizioni europee ma di voler invece continuare sulla solita via. Ci si nasconde dietro le difficoltà operative incontrate dai gestori regionali  chiamate genericamente “carenze” dall’ assessore Briano che a suo dire possono costituire “un vantaggio”  in quanto consentirebbero di  “superare l’ipotesi di realizzare un impianto finale di incenerimento come soluzione terminale”. Impianto di incenerimento  come pericolo scampato (tra le pieghe forse anche uno spauracchio in quanto non lo si esclude) e le deficienze del sistema invece il male minore da risolvere in tutta comodità.
 

A livello spezzino è lo stato di dissesto economico del Gestore ed il rischio di una crisi occupazionale che viene agitato per sfuggire all’ accusa di non essere in grado di diventare una provincia virtuosa o detto meglio, all’ accusa di manifesta insipienza.
 

L’ Associazione Comitati Spezzini non vede alcun vantaggio nella previsione di accrescere la capacità di trattamento meccanico biologico dei rifiuti.
 

Tale pratica è finalizzata alla produzione di FOS (frazione organica stabilizzata) e CSS (combustibile solido secondario). Nella nostra regione esiste ( e per fortuna) un solo impianto che svolge tale funzione. Si tratta dell’ impianto di Saliceti sito nel Comune di Vezzano Ligure che ha una taglia di 75 mila ton./anno, fortemente energivoro (3 MW/h in continuo), sottodimensionato anche per la provincia della Spezia la quale  produce allo stato,  quasi 90 mila ton /anno di tal quale. L’ eccedenza infatti viene esportata  nel comune di Massa Carrara.  

 

A questo proposito l’ idea di “regionalizzare”  Saliceti  (  coerente con la nuova legge dell’ ATO unica),  appare quanto meno surreale anche considerando che si prevede di raggiungere il 65%  di differenziata  ( percentuale che include ovviamente la FORSU) nel lontano 2020 !
 

Ben poco spazio quindi verrà a liberarsi nelle biocelle di cui è dotato, all’ interno delle quali viene biostabilizzato il rifiuto indifferenziato.  Nel resto della Regione ed il nuovo Piano lo prevede, verranno costruiti  altri impianti per il trattamento meccanico biologico ripetendo il madornale errore compiuto alla Spezia.  Ovviamente anche da questo esiteranno quantità ancora da quantificare di CSS.
 

Questo scenario non può che preoccuparci giacchè nella nostra regione risultano in esercizio due centrali termoelettriche a carbone ( Vado Ligure e La Spezia).  Quanto annunciato dall’ assessore Briano circa il proposito di accantonare l’ opzione dell’ incenerimento che non avverrebbe in un polo termico dedicato ma deriverebbe dalla co-combustione carbone  - CSS, rischia di non trovare riscontro. 
 

Tale pratica qualora venisse posta in essere in impianti ubicati fuori regione,  produrrà comunque gravi forme di inquinamento dovute al peggioramento delle emissioni  e dalla ricaduta del particolato in esse contenute.  Impianti come cementifici, centrali termoelettriche ed altri,  sono per quanto riguarda diossine e furani,  assoggettati ai limiti emissivi degli inceneritori  ( 1 pg/mc).
 

Ammettendo che questo valore possa essere considerato cautelativo  ( ma non lo è giacchè si sta parlando di composti bioaccumulabili),  non dà garanzia alcuna se riferito a cementifici e centrali termoelettriche, impianti in cui si ha un flusso di massa ben maggiore! Altro elemento che ci fa nuovamente temere un possibile impiego del CSS nella vetusta centrale Enel spezzina è la richiesta da parte dell’ Ente Elettrico di inserire nell’ A.I.A. il già detto  limite di tollerabilità per le diossine previsto per gli inceneritori.
 

Si ricorda inoltre l’ inadeguatezza dei sistemi di abbattimento dei fumi di cui sono dotati gli impianti in parola che dovrebbero essere sostituiti andando incontro a costi che forse non tutti Gestori vorrebbero sostenere.
 

Non troviamo alcun vantaggio neppure nella previsione di costruire impianti di compostaggio anaerobico per il trattamento della frazione organica > digestore anaerobico. Questi impianti, in realtà, quasi sempre vengono realizzati per trattare “biomasse sporche”:  organico fuori specifica, fanghi biologici, deiezioni animali, scarti di macellazione ect.  E’ consuetudine unirle insieme e deporle in capienti silos dopo di che esse vengono assoggettate a due tipi di processo: mesofilo o termofilo. Il più usato è quello mesofilo che ha maggior durata ma è più economico in quanto meno energivoro.
 

A valle del processo viene ottenuto gas metanifero che poi viene usato per il fabbisogno dell’ impianto ( da accertare l’ effettiva quantità immessa in rete) e vi risulta un materiale solido denominato digestato, pari al 30 % della massa in ingresso.  Da questo non è affatto possibile ricavare compost di qualità  se, com’ è molto probabile, la Forsu raccolta risulterà fuori specifica ed ad essa verranno associati fanghi biologici ( lo stesso Gestore spezzino ci ha confermato questo orientamento).
 

Per ciò che attiene all’ impiego del “digestato”  vogliamo qui segnalare le emergenze occorse in alcuni paesi europei, specie in Germania, derivanti all’ uso di questo prodotto in agricoltura. Alcuni ricercatori tra cui Helge Bohnel dell’ Università di Gottinghen hanno potuto evidenziare la pericolosità di alcuni batteri che in esso si sviluppano,  tra questi i Clostridi ed altri di tipo gram-positivo  responsabili di tetano, gangrena gassosa, tossinfezioni alimentari, necrosi dei tessuti, botulismo.

 

  La Svezia impone l’obbligo di pastorizzare i digestati prima che questi siano sparsi sul terreno, ma il procedimento nulla può contro le spore. Anche l’uso di antibiotici non previene questa formazione. Il 24% dei Clostridi trovati nei fanghi residui sono patogeni per l’ uomo e per gli animali.

 

 Le perdite di digestato nei terreni ha provocato inquinamento di terreni e corsi d’acqua con ripetute morie di pesci. Anche il ricercatore dell’ Università di Modena Stefano Montanari conferma i rischi  sopra annotati ed anche altro vedere qui >



 
http://www.vitalmicroscopio.net/2013/12/intervista-a-stefano-montanari-rogo-di-prato-endometriosi-caso-ilva-e-centrali-a-biomasse/

 

Dunque non ci pare assennato condividere queste  prospettive,  peraltro,  a fronte di vantaggi che non andranno certo a beneficio della Collettività ma al costruttore dell’ impianto. Un digestore anaerobico capace di trattare 30 mila ton/anno di biomassa con annessa centralina turbogas sotto il megawatt di taglia ( non sconterebbe la VIA) può costare almeno 10 milioni di euro.!.  

 

Per quanto riguarda il territorio spezzino,  emergono due seri problemi:

 

1. chi finanzierà l’ opera e dove questa sarà realizzata. Considerata la gravissima situazione finanziaria del Gestore Acam,  il  finanziatore non potrà che essere il nuovo partner della partecipata “Ambiente” la quale come previsto nel suo ultimo piano di riassetto economico industriale ha previsto di cedere almeno il 49% del suo pacchetto azionario. Ad oggi l’unica manifestazione d’ interesse a partecipare alla gara è pervenuta da Iren,   multi utility emiliano-ligure-piemontese indebitata per ben 5 miliardi di euro,  oltre 10 volte quello di Acam Spa ! 

 

2. l’ allocazione del digestore. Da diverso tempo si parla dell’area di Boscalino (Comune di Arcola),  opzione che nel Piano di Riassetto economico industriale del Gestore Acam viene posta sotto un velo di riservatezza, si parla infatti di una non meglio precisata ristrutturazione del sito. Ma il sito che misura circa 22,500 mq è occupato per un terzo dalle scorie di un vecchio inceneritore demolito dopo il sequestro giudiziario avvenuto nel 1986, per un altro terzo da alcune strutture ancora parzialmente in uso e per un ulteriore terzo dall’ impianto di compostaggio aerobico inaugurato nel 2002.

 

 L’ idea di costruirvi un digestore anaerobico con centralina turbogas ipotesi prospettata più volte dagli Enti preposti, ci pare alquanto astrusa non fosse altro per l’ evidente carenza di spazio.

 

La presenza della centralina per lo sfruttamento del biogas, inoltre, anche se di piccola entità, immetterà sostanze inquinanti a qualche centinaio di metri da un centro abitato e comunque in un contesto già fortemente gravato da un pesante carico ambientale:  la centrale dell’ Enel, 13 siti critici tra discariche ed aree industriali dismesse.

 

Proposte alternative per il territorio spezzino

 

Per ciò che attiene il trattamento della FORSU si propone in alternativa all’ impianto di digestione anaerobica la riconversione dell’ impianto di Saliceti.

 

Si ritiene che con alcuni aggiustamenti sia possibile utilizzare alcune delle biocelle aerobiche che verrebbero a liberarsi con il crescere della differenziata per il trattamento della Frazione Organica. Una volta raggiunto il 65% ( che auspichiamo fortemente possa essere raggiunto molto prima del  2020), gran parte di questi moduli potranno essere eventualmente utilizzati per trattare rifiuto umido proveniente da altri ambiti territoriali.

 

Giudichiamo con favore anche la realizzazione di un ulteriore impianto di compostaggio aerobico in grado -unitamente a quello già esistente- di accogliere la produzione del bacino provinciale. In essi non dovranno essere recapitati i fanghi biologici provenienti dai depuratori.

 

N.B. Da oltre 2 (due) anni l’ impianto di compostaggio di Boscalino (Arcola) non tratta più la frazione organica da rifiuto, ivi compresa quella raccolta nelle aree ove viene effettuato il Porta a Porta. Per ammissione del Gestore tale frazione, in quanto contaminata non può essere trasformata in Compost ma viene smaltita fuori Provincia. Ergo i dati relativi alla raccolta differenziata nella Provincia di La Spezia si riferiscono al materiale raccolto e non a quello effettivamente riciclato.

 

 

La produzione del CDR - CSS dovrà cessare non appena sarà possibile trovare un' alternativa al trattamento della frazione secca . E' ormai noto a chi si occupa di gestione dei rifiuti che a Vedelago in provincia di Treviso, operi un impianto di estrusione in grado di servire un grande bacino. In esso  si raccoglie e si tratta una vasta gamma di plastiche extra protocollo CONAI.

 

Quivi vengono sottoposte ad un processo che le riduce ad un' amalgama, una pasta omogenea che può poi essere riprocessata ed utilizzata per la realizzazione di nuovi oggetti. Una volta raffreddata può anche essere macinata sino ad ottenere una sorta di sabbia >sintetica che trova impiego nella filiera dell' edilizia. E' possibile realizzare con essa mattoni leggeri e resistenti. Sono allo studio e vengono posti in essere altri impieghi.

 

Certamente per poter immettere nel mercato nuovi prodotti è necessaria una capacità imprenditoriale che i colossi multi servizi non hanno e che non vogliono nemmeno apprendere. I rifiuti come anche l’acqua, rappresentano una miniera d’ oro e gli obiettivi virtuosi non garantiscono i profitti che si realizzano con le gestioni che sino ad ora abbiamo conosciuto. Gestioni magari in regime di monopolio come alla Spezia.  Meglio quindi,  allontanare il più possibile le scadenze che la legge ha fissato per la raccolta differenziata perché essa richiede investimenti ed accorcia le filiere rendendo inutili le tipologie di impianti di cui si è precedentemente trattato.

 

La discarica di servizio

 

La pianificazione regionale per quanto riguarda la discarica di servizio nell’area della Spezia riporta che,  considerata l’esiguità dei materiali di scarto prodotti,  sia da ritenersi residuale.

 

Il Comitato Tecnico regionale per la V.IA. ha recentemente riconosciuto non idoneo il sito di Mangina (comune di Borghetto Vara)  individuato dal Piano provinciale dei Rifiuti della Spezia approvato nell’ estate del 2001.

 

Resta pertanto come alternativa l’ ex discarica di Saturnia già ricadente nell’ ex SIN di Pitelli (oggi SIR) allo stato in fase di caratterizzazione. Trattasi di un incavo di grande volumetria aperto a metà anni ’80 e chiuso dalla Magistratura dopo poco tempo. Nella vasca più profonda vennero conferite circa 100 mila tonnellate tra ceneri da combustione del carbone e RSU.  In continuità con quanto delineato dal Ministero dell’ Ambiente,  è verosimile che la Regione  preveda di effettuare la messa in sicurezza permanente (MISP), scenario che peraltro pare riguardare tutti gli altri siti critici ricadenti nel Perimetro.

 

La MISP dovrebbe dunque avvenire con terra vergine e materiale strutturante. La Fos che è un rifiuto speciale codici CER 190503 e 190501  http://www.filodiritto.com/frazione-organica-stabilizzata-per-il-consiglio-di-stato-e-rifiuto-speciale/#.UyJjA0Bd5jo a nostro avviso  non dovrebbe essere utilizzata.  L’apporto di materiale per ripristinare l’area dovrebbe essere contenuto e limitarsi alla piccola vasca più profonda e non interessare i gradoni a suo tempo predisposti su cui è tornata la vegetazione.

 

Da quanto invece perviene da Comuni ed Acam  l’ orientamento è invece quello di sfruttare tutta la volumetria una volta certificata la bonifica del sito.  Sopra la piccola vasca messa in sicurezza, previo espletamento della procedura autorizzativa prevedente VIA ed AIA,  verrebbe aperta una nuova discarica in cui sarebbero conferite terre/rocce da scavo e FOS.

 

I sindaci soci amministratori di Acam hanno recentemente approvato un Piano di riassetto industriale ed  economico che prefigura un utilizzo del sito quale discarica di servizio, per un periodo di 7 (sette) anni dal 2015 al 2021. Il nuovo impianto -sempre secondo le previsioni del Piano-  dovrebbe garantire una redditività di 4.3 milioni di euro l’ anno.

 

La volumetria disponibile dell’ incavo di Saturnia è stimabile in circa 700 mila metri cubi pertanto si calcola di conferirvi 100 mila metri cubi l’ anno di materiale. L’ apporto secondo quanto riportato dall’assessorato all’ ambiente del Comune capoluogo,  sarebbe misto: terre - rocce da scavo e FOS al 50%.  Ergo nel caso della FOS si tratterebbe di recapitarvi almeno 70 mila tonn/anno.

 

Appare dunque evidente che i piani degli Enti Locali e quelli della Regione siano alquanto discordanti!  
  


Con un semplice computo aritmetico è stato possibile stabilire che nella nuova discarica di Saturnia verrebbero allocate ben 490 mila tonnellate di FOS. Una quantità che forse non sarebbe possibile reperire nemmeno in tutto il settentrione d’ Italia.

 

Onde evitare contenziosi e conflitti con una popolazione provatissima dai carichi ambientali che il malgoverno del territorio ha a lei riservato,  sarebbe bene che la Regione si esprimesse con maggiore chiarezza sul destino del sito fornendo elementi atti a definire una volta per tutte le modalità di utilizzo.

 

Sull’ ATO unico regionale

 

Il DDL 309/2013 all’ artt. 3 e 4 recitano:

 

3.  All’interno di ciascuna area territoriale omogenea vengono organizzati ed affidati unitariamente i servizi relativi alla raccolta ed al trasporto dei rifiuti, alla raccolta differenziata e all’utilizzo delle infrastrutture al servizio della raccolta differenziata, nonché all’eventuale trattamento dei rifiuti residuali indifferenziati sulla base di uno specifico Piano d’Area. E’ facoltà delle Amministrazioni Comunali affidare alla gestione associata ulteriori attività che garantiscano servizi superiori rispetto a quelli garantiti dal piano d’area e attività di sensibilizzazione e comunicazione ambientale.

 

 4.    Per esigenze tecniche e di efficienza dei servizi, fra le diverse aree territoriali omogenee individuate ai sensi del comma 1, possono essere previste, in accordo con la Regione, integrazioni fra i servizi indicati al comma 3 .

 

Nei passi in grassetto si prefigura la possibilità che impianti di trattamento esistenti o previsti possano essere usati in comunità tra  aree territoriali omogenee  ( anch’ esse ATO !).

 

A parte il fatto che l’ attuale situazione nella provincia della Spezia non permette l’ attuarsi di tale scenario, osserviamo che tale filosofia investe sull’ incapacità di gestire il ciclo dei rifiuti da parte delle singole aree omogenee.

 

Il ciclo a nostro giudizio,  dovrebbe essere gestito da consorzi di Comuni una sorta di sub ambiti  indipendenti tra loro,  convinti come siamo che ciò li responsabilizzi maggiormente e che li renda più efficienti. Per noi la frammentazione non è affatto un disvalore.

 

L’ indirizzo  preso invece nella nostra Regione che ha oggi più potere decisionale anche nella scelta degli impianti  “terminali” di recupero e smaltimento ( art.13 p.2 comma e  ddl. 309/2013),  è quello di creare macroaree da affidare alle multi utility. Giganti che non sono per niente efficienti ( e spesso forniscono servizi costosissimi) e  come già accennavamo, non hanno alcun interesse a perseguire le priorità dettate dall’ Europa, prima tra tutte il recupero di materia.

 

I costi per i cittadini

 

Si  ricorda anche l’infausto destino del decreto Ronchi del 1997 che obbligava tutti i Comuni ad abbandonare entro due anni la tassa sui rifiuti a tariffa per quella a consumo. In 16 anni non è mai stato tradotto in obbligo di legge per l’opposizione dei sindaci, che preferivano incassare i maggiori oneri derivanti da un calcolo a metro quadro, e grazie anche alla sponda del Parlamento, dove ogni due anni veniva votata la proroga.

 

 

Piano delle Bonifiche

Il capitolo dedicato ha inizio con questa premessa:

 

Il risanamento delle aree inquinate è ritenuto azione necessaria e propedeutica al riutilizzo del territorio in conformità alle destinazioni d’uso stabilite negli strumenti urbanistici. La bonifica dei terreni, da attuare in un ottica di sostenibilità ambientale ed economica, permette la restituzione del suolo agli usi legittimi senza impegnare nuovi spazi.

 

Per quanto riguarda l’ ex SIN di Pitelli (oggi SIR) ricadente in territorio spezzino, riteniamo che il proposito di perseguire il “risanamento” è già votato al fallimento.  Per la quasi totalità delle aree terrestri l’ orientamento della Regione fa completo riferimento a quanto delineato dal MATT nei 13 anni di sua gestione e competenza. Si pensa cioè  -perseguendo appieno  “un’ottica di sostenibilità ambientale ed economica”   che vale anche per i siti privati (i cui titolari inquinatori pur essendosi arricchiti risultano quasi sempre insolventi),  di effettuare ovunque delle MISP mediante capping contestualmente a regimazione e raccolta delle acque meteoriche. Queste ultime peraltro, dopo più di un decennio di gestione statale, non riguardano tutte le aree e quindi sussiste un problema di diffusione dell’ inquinamento: segnaliamo il caso del -Sito di Stoccaggio Provvisorio Prolungato- di Monte Montada e probabilmente anche del sito militare denominato “Tiro al Piattello”.  Ma più in generale le MISP non si possono per nulla considerare un risanamento ma semplicemente un intervento di contenimento con il quale si cerca di arginare gli effetti della giacenza di milioni di metri cubi di rifiuti speciali e speciali pericolosi.

Quando si parla di milioni non si esagera è sufficiente fare la semplice somma algebrica del milione di tonnellate di ceneri della CTE Enel presenti nei bacini di Vallegrande, le 560 mila tonnellate di scorie tossiche della discarica di Ruffino Pitelli e tutte le centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti sversati a Monte Montada, Saturnia ed in altri aree. Persino le banchine di diversi moli sparsi per il Golfo spezzino sono a tutti gli effetti delle discariche senza protezione alcuna.  Non di meno si deve con chiarezza ammettere che “ la protezione”  altro non è che un insieme di teloni saldati insieme dello spessore di un paio di millimetri che isolano il terreno (spesso non del tutto impermeabile)  da sostanze chimiche molto aggressive per loro natura e per loro interazione. Teloni che possono deteriorarsi a causa di piccoli sismi o cedimenti oppure per l’ intervento di animali selvatici.

 

Illusorio quindi aspettarsi che il già detto “ risanamento”  possa concretizzarsi qualora finalmente, dopo anni di nostre reiterate richieste, si entrasse nelle aree militari e si rinvenissero ulteriori quantità di sostanze inquinanti. Eventualità non remota altrimenti non si comprenderebbe il perché circa metà dell’ estensione della Polveriera di Vallegrande (M.M.) sia stata inserita nel SIN di Pitelli. Si mettano poi nel conto le  testimonianze a più riprese rese da soggetti in anonimato anche attraverso i media !.

 

Sempre a proposito dell’ improprio uso del termine “ risanamento”  vogliamo qui fare un breve accenno a quanto riportato dai giornali in merito al SIN Stoppani-Cogoleto.  La messa in sicurezza della discarica del Molinetto, secondo quanto si è appreso avverrebbe con l’apporto di rifiuti pericolosi provenienti proprio dall’ ex Stoppani. Per opportuna conoscenza segnaliamo questo link:

http://www.casadellalegalita.info/archivio-storico/2014/11287-stoppani-molinetto-lamministrazione-di-cogoleto-perche-mente.html
 

 

                                                                                                                     

 

                                                                                                                Per l’ Associazione

                                                                                                                Cucciniello Corrado                                                                                                                                                

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